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Comune di Castel San Pietro Romano

Storia e Territorio

Castel San Pietro Romano, ridente paese che sorge sul Monte Ginestro a mt. 763 s.l.m., dista da Roma km. 43, ha circa 900 abitanti e si colloca nell’ambito di un territorio molto vasto che confina anche con la Capitale; l’agglomerato storico mostra la struttura urbano-medievale del Borgo.
Le sue origini sono molto antiche: fin dal Paleolitico superiore, una tribù di aborigeni viveva su questo monte; quando la pianura sottostante fu bonificata, essi scesero e fondarono un altro villaggio che divenne poi la città di Praeneste.
Il paesino di Castel S. Pietro Romano deve il suo nome all’Apostolo Pietro che, secondo la leggenda, salì su questo monte per predicare il cristianesimo in contrapposizione al culto della Dea Fortuna Primigenia venerata nel sottostante santuario pagano. Secondo la tradizione locale fu lo stesso Costantino, primo imperatore cristiano, a denominarlo “Castrum Sancti Petri”. L’epoca feudale alla fine del 1200 vide i Colonna protagonisti della storia locale. Il loro dominio fu avversato acerrimamente da papa Bonifacio VIII il quale, per contrastare il crescente potere della famiglia, mise a fuoco e fiamme l’intera zona. Soccombenti, i Colonna dovettero attendere la morte del pontefice, nel 1303, per essere reinseriti nel loro ruolo di feudatari dal suo successore, Benedetto IX. Le lotte e le incomprensioni con la chiesa continuarono tuttavia finché nel 1630 Francesco Colonna cedette il fondo a Carlo Barberini, fratello di papa Urbano VIII. Queste vicissitudini esposero Castel San Pietro ad un continuo ed inesorabile declino a contrastare il quale solo nel recente passato si è corso ai ripari attraverso la riscoperta e valorizzazione delle sue risorse naturali ed ambientali.
Data l’altezza e la sua posizione geografica, da Castel San Pietro Romano si gode un panorama immenso e multiforme grazie alla molteplicità delle sue circostanze paesaggistiche: a Nord – il Monte Guadagnolo con tutte le creste dei Prenestini che lasciano intravedere le cime dei Simbruini; a Est – la valle del Sacco; a Sud – i Lepini ed il mare di Fiumicino e Roma. Per queste sue singolari prerogative Castel San Pietro Romano è stato metaforicamente definito “un balcone sulla provincia di Roma” .
Nel Medio Evo vi soggiornò a lungo anche Jacopone da Todi, che a Castel S. Pietro compose alcune tra le sue opere più belle, compreso il famoso “Stabat Mater”. Il Beato frate fu, poi, anche ospite delle galere della Rocca dei Colonna, dove trascorsero qualche tempo illustri personaggi quali S. Bernardo, vescovo dei Marsi, e Corradino di Svevia nel suo ultimo viaggio verso Napoli dove fu giustiziato. Il paese oggi si presenta ancora integro con la sua pavimentazione di sanpietrini di pietra locale, con le sue caratteristiche viuzze e piazzette che fecero innamorare, negli anni cinquanta, Vittorio De Sica che scelse Castel San Pietro Romano per alcuni tra i suoi film più importanti: “Pane, amore e fantasia” e “Pane, amore e gelosia” con V. De Sica e G. Lollobrigida; “I due marescialli” con Totò e De Sica. Sempre qui fu girato il film con Ugo Tognazzi “Il Federale”.
Come si è già detto, l’antica città di Praeneste era protetta da un’imponente fortificazione che si svolgeva lungo un tracciato quasi triangolare e che includeva tutto il versante meridionale di Monte Ginestro, salendo con due bracci convergenti fino alla sommità di Castel S. Pietro Romano, dove si saldava alla fortificazione dell’acropoli.
La tecnica utilizzata, chiamata “opera poligonale”, consiste nell’innalzare strutture composte da grossi massi calcarei, lavorati appunto in forma di poligoni ed accostati a secco, senza l’uso di malta di calce. Il problema della datazione di questa cinta muraria è assai complesso. In una prima fase degli studi, risalente al 1800 e ai primi anni del 1900, si era ritenuto che Castel S. Pietro Romano avesse rappresentato l’insediamento più antico, relativo al momento di grande prosperità e ricchezza dell’epoca orientalizzante (VII sec. a.C.).
I tratti più meridionali delle mura, pertinenti all’abitato, sono stati invece riferiti allo sviluppo urbano successivo al IV sec. a.C., quando si avvia la grandiosa sistemazione a terrazze della città, fino alla imponente ristrutturazione monumentale del II sec. a.C. Tuttavia la localizzazione dell’abitato protostorico e orientalizzante è ancora incerta, e la vetta di Monte Ginestro poteva rappresentare, come si è detto, solo l’acropoli con funzioni difensive e di avvistamento. Seguendo questa linea si è ipotizzato che la sommità del monte, insignificante dal punto di vista abitativo, svolgesse però, per la sua posizione di controllo territoriale e di ampia visuale, un ruolo legato alle pratiche religiose dell’augurium e dell’auspicium, tanto che doveva essere, come si è detto, la sede del santuario di Iuppiter, denominato Arcanus proprio dal termine arx. In tale ottica la cinta fortificata dell’area urbana e della sua acropoli potrebbero aver fatto parte di un unico progetto difensivo, databile già al VII e VI sec. a.C..
La differenza di tecnica costruttiva fra le varie parti, che evidenzia una maggiore rozzezza nella zona dell’arce, è dovuta probabilmente alla necessità di adottare una tecnica più raffinata nelle zone più accessibili, mentre poteva essere sufficiente una struttura meno curata nei punti più difesi naturalmente. Questo sembra spiegare l’assenza, almeno attualmente, di mura lungo tutto il lato est dell’acropoli, dove il dirupo è talmente scosceso e inaccessibile da costituire, di per sé, una difesa sufficiente. Il versante occidentale del colle conserva per lo più intatto il tracciato del circuito murario. I blocchi di poligonale sono visibili solo in alcuni punti alla base del muro, mentre al di sopra si conserva il restauro medievale a blocchetti di calcare, probabilmente coevo all’edificazione della rocca.
La zona intermedia fra l’acropoli e l’abitato, compresa all’interno delle mura, non era destinata ad insediamenti, ma doveva servire soltanto come area di pascolo, comunque ben difesa, che potesse garantire, in caso di assedio, il sostentamento del bestiame. In antico, la zona della rocca ospitava varie sorgenti le cui acque, captate, venivano imbrigliate e portate verso Palestrina in condotti di calcestruzzo idraulico, veri e propri acquedotti. Alcuni resti di questi sono stati rinvenuti nella valle della Cannucceta, nella valle del Formale, nonché in quella di Bulliga.